Nella vita di tutti i giorni, quando passa la parola “intelligente” spesso facciamo riferimento, inconsapevolmente, all’intelligenza di tipo cognitivo, cioè alla capacità di ragionamento logico. Da alcuni studi sembra infatti che, comunemente, si tenda a considerare l’intelligenza come la capacità di pensare bene dal punto di vista logico e verbale o la capacità di risolvere problemi . Ci sono molte teorie su questo tipo di intelligenza, quella cognitiva, razionale. In questo articolo vorrei invece soffermarmi su un costrutto diverso, quello dell’Intelligenza Emotiva, le cui interessano la vita relazionale di tutti i giorni e, quindi, anche la nostra qualità vita a livello intra e interpersonale.
Il costrutto di Intelligenza Emotiva è stato elaborato negli anni novanta del secolo scorso ei maggiori studiosi sono stati Salovey, Mayer e Goleman. Si tratta di una capacità emotiva che si articola in una serie di componenti, tra cui la conoscenza delle proprie emozioni, la regolazione (modulazione) delle stesse stesse, la di sapersi motivare, il riconoscimento delle emozioni provate dagli altri, la di avere relazioni sociali appaganti, fra individuo e nel gruppo. Fa quindi riferimento quella mescolanza di fattori che determinano la nostra personalità e il nostro comportamento, in cui il quoziente intellettuale si fonde con virtù la tenacia, l’autocontrollo, l’empatia e l’attenzione sia a se stessi che alle altre persone .Quello dell’Intelligenza Emotiva è un costrutto che si pone su un continuum. Significa che ogni persona può avere un livello diverso di intelligenza emotiva, ma che tutti ne siamo in possesso, in misura variabile, e possiamo lavorare per migliorare il nostro livello attuale. Si tratta di vivere immaginando che le nostre emozioni lavorino per noi e non contro di noi. Per far questo occorre imparare a riconoscerle ea cogliere il ‘messaggio’ che ognuna di esse porta con sé nella direzione del nostro benessere.
All’estremo opposto dell’Intelligenza Emotiva si può parlare di Alessitimia, costrutto elaborato da Nemiah e Sifneos e da Taylor.Le caratteristiche di questo tratto sono una grande difficoltà a definire i sentimenti e le emozioni, sia propri che altrui; la difficoltà nel distinguere i sentimenti ed emozioni dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emotiva (es. la rabbia può essere letta solo come ‘mal di pancia’); la difficoltà nel descrivere agli altri le proprie emozioni e quindi di ricorrere ad essi come fonti di aiuto e di conforto; la scarsa capacità di provare emozioni piacevoli (il focus è più sulle emozioni spiacevoli); la presenza di processi immaginativi limitati che ostacolano la capacità di modulare le emozioni attraverso la fantasia, i sogni, gli interessi, l’atto di così molto poveri; uno stile cognitivo pragmatico,legato allo stimolo ambientale e orientato verso l’esterno più che alle ed emozioni interiori. L’Alessitimia rappresenta un fattore di rischio per una serie di disturbi, sia psichici che psicosomatici, proprio perché, nelle persone che presentano un alto livello di questa caratteristica, un fattore emotivo tende a trovare sempre, come canale preferenziale di, quello corporeo o comportamentale, senza una parallela rielaborazione a livello emotivo e cognitivo. Questo meccanismo, se non viene colto, si rafforza nel tempo, può entrare a far parte della struttura di personalità di un individuo e avere ripercussioni sul proprio stile di vita. In uno studio pilota condotto da me e dal mio gruppo di ricerca su 52 pazienti diabetici afferenti all’UO di Medicina Generale dell’ Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana e presentato a Foligno al 5° Congresso Nazionale del Gruppo di Ricerca in Psicosomatica nel 2008, è stato riscontrato che le persone con alti livelli di alessitimia, rispetto a quelli che non presentano questa caratteristica, tendevano ad attribuire maggiormente a fattori esterni le cause della propria condizione metabolica attuale ea fronteggiare il proprio disturbo metabolico adottando strategie di coping (=modalità con cui le persone affrontano le situazioni stressanti) volte a distogliere l’attenzione dalla sindrome metabolica. Pur trattandosi di uno studio pilota che merita ulteriori approfondimenti, è possibile ipotizzare che l’alessitimia sia implicata nella modalità di fronteggiare questo disturbo metabolico, in cui ‘l’autocura’ (innanzitutto in termini di stile di vita sano) gioca un ruolo fondamentale rispetto all’andamento della sindrome. In un altro studio del nostro gruppo di ricerca, pubblicato su European Journal of Clinical Investigation, è emerso addirittura che il livello di emoglobina glicata in pazienti con diabete di tipo 2 era legato a vari fattori, tra cui la difficoltà a definire le proprie emozioni ei propri sentimenti (una delle componenti dell’alessitimia).
Le Emozioni di Base e le Emozioni Sociali
Negli anni Settanta e seguenti, Ekman, insieme a collaboratori come Friesen, attraverso una serie di studi interculturali (in parte criticati), individuarono alcune Emozioni di Base (o primarie), che hanno la caratteristica di essere universalmente riconosciute in tutte le culture, di essere presenti anche negli animali e di avere un’attivazione automatica. Si tratterebbe, perciò, di segnali indispensabili per la sopravvivenza (perché presenti anche in altre specie animali) e di segnali indipendenti dal controllo; in pratica non si può decidere cosa provare emotivamente in una data situazione, proprio perché la loro attivazione è automatica e influenzata dalla percezione dell’evento (che a sua volta è il frutto delle reciprocità dispiegatesi nel corso della propria esistenza). Gli autori citati ne identificarono sei in particolare: Paura, Rabbia, Tristezza, Disgusto, Gioia e Sorpresa. Le emozioni di base sono facilmente riconoscibili nei neonati. Se si osserva un neonato, è possibile vedere tutto il repertorio emotivo necessario alla sopravvivenza: un bambino piccolo, infatti, prova paura, rabbia, tristezza, gioia e sorpresa in funzione del suo bisogno, in quel momento, vitale. Non sa ancora osare un nome a ciò che sente, ma esprime questi vissuti in modo, appunto, automatico. Ad esempio, facendo un gran sorriso se ciò che sta vivendo gli fa provare gioia. Se è vero che le emozioni ci possono consentire la sopravvivenza e che la loro attivazione è così significa che conoscerle, riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri esistenza e la qualità della nostra vita. L’intersoggettività è strettamente connesso alla qualità delle nostre relazioni. rabbia, tristezza, gioia e sorpresa in funzione del suo bisogno, in quel momento, vitale. Non sa ancora osare un nome a ciò che sente, ma esprime questi vissuti in modo, appunto, automatico. Ad esempio, facendo un gran sorriso se ciò che sta vivendo gli fa provare gioia. Se è vero che le emozioni ci possono consentire la sopravvivenza e che la loro attivazione è così significa che conoscerle, riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri esistenza e la qualità della nostra vita. L’intersoggettività è strettamente connesso alla qualità delle nostre relazioni. rabbia, tristezza, gioia e sorpresa in funzione del suo bisogno, in quel momento, vitale. Non sa ancora osare un nome a ciò che sente, ma esprime questi vissuti in modo, appunto, automatico. Ad esempio, facendo un gran sorriso se ciò che sta vivendo gli fa provare gioia. Se è vero che le emozioni ci possono consentire la sopravvivenza e che la loro attivazione è così significa che conoscerle, riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri esistenza e la qualità della nostra vita. L’intersoggettività è strettamente connesso alla qualità delle nostre relazioni. automatico. Ad esempio, facendo un gran sorriso se ciò che sta vivendo gli fa provare gioia. 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Se è vero che le emozioni ci possono consentire la sopravvivenza e che la loro attivazione è così significa che conoscerle, riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri, nonché riconoscerle in noi e negli altri esistenza e la qualità della nostra vita. L’intersoggettività è strettamente connesso alla qualità delle nostre relazioni. sono azioni che ci migliorano per migliorare la nostra esistenza e la nostra vita. L’intersoggettività è strettamente connesso alla qualità delle nostre relazioni. sono azioni che ci migliorano per migliorare la nostra esistenza e la nostra vita. L’intersoggettività è strettamente connesso alla qualità delle nostre relazioni.
Esistono poi le cosiddette Emozioni Sociali (o complesse), come l’Imbarazzo, la Vergogna, il Senso di Colpa, la Gelosia, l’Invidia, il Disprezzo e l’Indignazione che, invece, si apprendono all’interno di uno specifico contesto sociale. Ecco perché uno stesso comportamento può essere vissuto con imbarazzo in una cultura, oppure con estrema disinvoltura in un’altra: è la ‘regola sociale’ che guida il vissuto, perché le emozioni secondarie sono legate alla percezione o al timore che una norma o un principio etico sono violati. Se ci pensiamo, queste emozioni, infatti, non sono visibili in un neonato, che ancora non conosce le comuni regole sociali. Occorre infatti che il bambino interiorizzi qualche norma sociale possa esprimere le emozioni secondarie, che non sono legati alla sopravvivenza ma piuttosto al contesto di vita. Esse sono quindi correlate all’
In particolare, che cosa ci dicono le emozioni strettamente legate alla sopravvivenza, cioè le Emozioni di Base (primarie)? La Paura ci dice ..che c’è un pericolo. La Tristezza che c’è qualcosa ..che mi mortifica. La Rabbia che c’è qualcosa ..che invade il mio territorio. Il Disgusto che c’è qualcosa ..di sgradevole per me. La Gioia che c’è qualcosa ..che mi crea benessere. La Sorpresa che c’è qualcosa ..di nuovo, che non conosco. Un primo passo per migliorare la nostra Intelligenza Emotiva e la qualità della propria esistenza è quindi chiedersi: “Come mi sento?”.
Perché è importante? Perché se riesco a dare un nome a quello che provo, riesco ad orientarmi rispetto alle azioni per migliorare la mia condizione. Diventa una sorta di autoconsapevolezza e, il passo successivo, è di responsabilità del mio benessere. ” La chiave della felicità è la disobbedienza in sé a quello che non c’èipotesi di un figlio giovane che va a lavorare all’estero. Le emozioni saranno di dolore, di paura, ma magari anche di gioia. In questo caso il lavoro su noi stessi è un livello di complessità un pochino superiore. Si tratterà, quindi, di trovare il comportamento e le parole che rispettano tutte e tre queste emozioni. Spesso, durante la pratica clinica, si nota che quello che ci far star male non è tanto una singola emozione spiacevole, ma la difficoltà a trovare il miglior compromesso tra emozioni in gioco in contrasto tra loro, perché solo così tutte le parti di noi si sentiranno, in un certo senso, ascoltate e quindi sentirete appagamento. E, si sa, l’appagamento crea una sensazione di sollievo. Maggiore è il numero o l’intensità delle sfumature emozionali che si provano, più complesso è il compito di trovare soluzioni che diano spazio e voce a ciascuna di esse, senza trascurarne nessuna, bensì racchiudendole tutte. Nei casi più, la psicoterapia può essere d’aiuto proprio in questo: a sviscerare le componenti di un malessere (emozioni, aspettative su noi stessi e sugli altri, mandàti familiari inconsci) in modo tale da immaginare i migliori adattamenti (in termini di sopravvivenza e qualità di vita) alle situazioni che li suscitano. Ricordo che spesso sono le sfumature a creare la differenza: sia nella percezione di una situazione, sia nel proprio modo di comportarsi ed esprimersi. aspettative su noi stessi e sugli altri, mandàti familiari inconsci) in modo tale da immaginare i migliori adattamenti (in termini di sopravvivenza e qualità di vita) alle situazioni che li suscitano. Ricordo che spesso sono le sfumature a creare la differenza: sia nella percezione di una situazione, sia nel proprio modo di comportarsi ed esprimersi. aspettative su noi stessi e sugli altri, mandàti familiari inconsci) in modo tale da immaginare i migliori adattamenti (in termini di sopravvivenza e qualità di vita) alle situazioni che li suscitano. Ricordo che spesso sono le sfumature a creare la differenza: sia nella percezione di una situazione, sia nel proprio modo di comportarsi ed esprimersi.
Intelligenza Emotiva e Psicoterapia
Durante il processo psicoterapico si lavora, recita, anche sulla propria Intelligenza Emotiva, perché si crea via maggiore consapevolezza circa le varie sfumature dei propri vissuti fattori emotivi, dei in gioco, sia personali che interpersonali, sia personali che interpersonali, (e quindi di sollievo) che abbiamo e che a volte ci sembra del tutto assenti. Ma, spesso, è solo una percezione. Cambiando gli occhi con cui ci guardiamo, cambia anche tale percezione (come accennato ..le sfumature fanno la differenza).
Adulti
Dal punto di vista clinico, durante un percorso psicologico una persona adulta impara, gradualmente, a riconoscere le emozioni ea non esserne spaventata. Si possono individuare, ad esempio, i primi, soggettivi, segnali di rabbia ea poco a poco si può imparare a considerarla come un ‘cenno dall’interno’ che ci indica di mettere a distanza dalla persona o dalla situazione che la evoca o, al contrario , di attivarci per conquistare qualcosa che per noi è importante. Si può imparare a sentire la paura ea familiarizzare con essa, in modo tale da trasformarla in prudenza ma senza permetterle di bloccarci. Si può imparare a vivere la gioia,senza ciò che questa emozione ci renda dipendenti da chi o da che la suscita in noi. E tutto grazie a un graduale processo di ascolto e aut osservazione che impariamo e rendiamo nostro durante il percorso con il nostro professionista di riferimento. In questo senso, lavoriamo anche sulla nostra Intelligenza Emotiva, migliorandola affinché si affini quello strumento interiore che ci permette di rispondere a un ‘Come sto?’ prendere la risposta (l’emozione individuata) come segnale automatico, interno, che con saggezza inconscia sa in direzione il quale nostro migliore equilibrio evolutivo deve passare.
Bambini
Nei bambini, a volte, certe emozioni risultano inaspettate o sembrano difficili da comprendere. Durante la fase di consulenza e, in seguito, nei percorsi di terapia diretta (con il minore) o indiretta (con i genitori) quello che viene messo a fuoco è il senso e il significato di certe emozioni, che spesso, più che a fuoco, vengono ‘agite’ (ricordiamoci che un bambino spesso non ha gli strumenti linguistici per dar voce a ciò che, per cui va accompagnato in questo), cioè esprimere attraverso comportamenti che sentono una sorta di frustrazione nei genitori. Una volta individuato il senso e il significato di quei comportamenti (fase di consulenza), il lavoro psicoterapeutico diventa un ascolto di quelle emozioni, che oltre ad essere accolte trovano spazio per essere accompagnate e trasformate in un equilibrio familiare diverso,
Adolescenti
In questa fascia d’età, il lavoro psicoterapico interessa molto il riconoscimento delle emozioni in gioco, il dare loro un nome, ma anche e soprattutto la gestione dell’emozione stessa in funzione di un miglior equilibrio e anche del futuro adulto/a che, nell’immaginario dell’adolescente, tende a farsi spazio e strada (Chi/Come sarò fra dieci o venti anni?). Durante la fase adolescenziale, infatti, a seguito dei cambiamenti fisici e fisiologici che avvengono, le emozioni sono vissute in modo particolarmente intenso. È in questo periodo che si hanno, dov’è, due fasi importanti. Una prima fase di ‘disordine’, caratterizzato dalla compresenza di un cosiddetto sé reale (pensieri e sensazioni interne non esterne) e di un falso sé(che può essere una parziale rappresentazione del sé reale oppure andare può in direzione totalmente opposta) e una fase di ‘riorganizzazione’, in cui gli elementi emersi da un costante e inconscio confronto tra ‘sé reale’ e ‘falso sé’ (entrambi assolutamente positivi perché utili in termini di sperimentazione e immaginazione di sé) vengono in qualche modo integrati grazie a scoperte personali circa la propria persona. Se la riorganizzazione non avviene può essere per tanti motivi, può riconducibili o alla percezione di un’eccessiva (e magari inconsapevole) intrusione da parte dei genitori (per cui, alla lunga, accade che l’adolescente viva le proprie scelte come ‘estranee ‘, proprio perché non derivano dal confronto tra sé reale e falso sé, ma da un inconsapevole compiacimento delle scelte genitori), oppure dalla percezione di un’eccessiva dispersione (per cui l’adolescente non percepisce ’emotivamente’ la presenza dei genitori, ma si vive, piuttosto, un forte senso di vuoto emotivo). Mi preme sottolineare che non si fa riferimento a genitori intrusivi o assenti, ma alla percezione che il minore ha di essi. Ciò che conta, qui, è la percezione da parte di quella specifica individualità. Pertanto non ci sono colpe…ci sono solo percezioni e vissuti interiori. ma alla percezione che il minore ha di essi. Ciò che conta, qui, è la percezione da parte di quella specifica individualità. Pertanto non ci sono colpe…ci sono solo percezioni e vissuti interiori. ma alla percezione che il minore ha di essi. Ciò che conta, qui, è la percezione da parte di quella specifica individualità. Pertanto non ci sono colpe…ci sono solo percezioni e vissuti interiori.
Proprio per questi fattori, mentre nei bambini la di regolare le proprie emozioni dipende molto dalla capacità (innata o appresa) dei genitori di coglierne il senso e il significato e, di conseguenza, di modularle, negli adolescenti è possibile lavorare un po’ di più sull’autonomia gestione delle stesse, sebbene l’interazione coi genitori resti un elemento molto importante.
Conclusioni
Rispetto agli altri esseri viventi, l’Uomo presenta una caratteristica del tutto specifica: la coscienza autoriflessiva . Questo significato che l’Uomo è l’unico essere vivente che, nella parte dei casi, necessita di generare continuare maggiore e sentirsi proprio sentire, al proprio sperimentare. Ed è proprio questo aspetto che gli permette di creare un filo che lega insieme i vari ‘pezzi’ che costituiscono il senso di sé. Tale ‘filo’ riflette il senso che gli altri significativi gli hanno attribuito nel corso della sua esistenza e, per questo, generi vissuti e significati diversi a seconda della propria storia di sviluppo e della propria percezione di fatti ed eventi.
In questo senso ogni persona è un sistema che modula la propria organizzazione ricostruendo il proprio equilibrio in modo tale da far fronte a due esigenze: da un lato, la coerenza interna (cioè il senso di sé, in modo tale che resti il più possibile invariato ) e, dall’altro, le interazioni con l’ambiente esterno (i familiari, i colleghi, gli eventi di vita, che spesso cambiano o modulazioni interiori). Gli adattamenti dell’ambiente, i cambiamenti della persona dall’elasticità del sistema. Sistemi troppo rigidi rischiano di non adattarsi all’ambiente; ne consegue un maggior rischio di assistere a disagio, sintomi, scompensi. Sistemi troppo elastici rischiano, d’altro canto, di disperdersi; anche in questo caso, il rischio di sviluppare disagio, sintomi e scompensi aumenta. Una buona elasticità è invece un buon equilibrio tra ciò che sentiamo (emozioni), pensiamo (cognizioni), facciamo (comportamenti). Una buona elasticità permette di avere fiducia in se stessi, di avere una buona stabilità emotiva (che non è controllo, bensì accoglienza e modulazione di ciò che sentiamo), di chiedere aiuto agli altri (sapendo scegliere bene) in caso di bisogno. Avere un buon livello di Intelligenza Emotiva non significa essere migliori di altri. Non significa nemmeno proteggersi da emozioni spiacevoli come la rabbia o il dolore. Assolutamente. La vita ci mette di fronte a queste emozioni. Significativo invece invece accoglienza e modulazione di ciò che sentiamo), di chiedere aiuto agli altri (sapendo scegliere bene) in caso di bisogno. Avere un buon livello di Intelligenza Emotiva non significa essere migliori di altri. Non significa nemmeno proteggersi da emozioni spiacevoli come la rabbia o il dolore. Assolutamente. La vita ci mette di fronte a queste emozioni. Significativo invece invece accoglienza e modulazione di ciò che sentiamo), di chiedere aiuto agli altri (sapendo scegliere bene) in caso di bisogno. Avere un buon livello di Intelligenza Emotiva non significa essere migliori di altri. Non significa nemmeno proteggersi da emozioni spiacevoli come la rabbia o il dolore. Assolutamente. La vita ci mette di fronte a queste emozioni. Significativo invecesaperle riconoscere e modulare , in una sorta quasi di caldo contenimento, per ritrovare uno spazio di quiete che non derivi dal loro soffocamento o dalla loro negazione, bensì dalla loro graduale trasformazione in qualcosa di ‘buono’ per noi. Immaginiamo di riuscire a scegliere, ea fare delle intorno, non tanto mutando i fatti intorno a noi, cambiando piuttosto il nostro modo di porci rispetto a quanto vediamo. Immaginiamo di riuscire a scegliere a vivere ea fare delle in linea con le varie sfumature emotive che sentiamo, nel pieno rispetto della nostra persona e degli altri significativi. E’ così che il senso di leggerezza e di sollievo, a poco a poco, riesce a farsi strada.
“È impossibile”, disse l’orgoglio. “È rischioso”, disse l’esperienza.
“È inutile”, tagliò la ragione.
“Provaci”, sussurrò il cuore. (Cit.)
Dott.ssa Elena Lensi
Psicologa, Psicoterapeuta, Specialista in Psicologia Clinica
Esperta in Tecniche di Ipnosi Clinica
(OPT n. 4239)
Appendice – Intelligenza Emotiva e Alessitimia sono ‘misurabili’?
Sia L’Intelligenza Emotiva che l’Alessitimia sono misurabili attraverso i test. In particolare, l’EQ-i di Giunti OS misura il Quoziente Emotivo e quelle dimensioni psicologiche non strettamente legate all’intelligenza cognitiva ma orientate al benessere psicologico. Valuta quindi il Quoziente Emotivo Intrapersonale (Sottocomponenti: Considerazioni di Sé, Autoconsapevolezza Emotiva, Assertività, Indipendenza, Realizzazione di Sé); il Quoziente Emotivo Interpersonale (Sottocomponenti: Empatia, Responsabilità Sociale, Relazioni Interpersonali); il livello di Adattabilità (Sottocomponenti: Esame di Realtà, Flessibilità, Problem Solving); la Gestione dello Stress (Sottocomponenti: Tolleranza dello Stress, Controllo degli impulsi); il Quoziente Emotivo legato all’Umore Generale (Sottocomponenti: Ottimismo, Felicità). l’EQ-i è composto da 133 item suddivisi in 15 sottoscale raggruppate in 5 scale principali , con scala di risposta graduata a 5 punti, da “Assolutamente vero per me” a “Per nulla vero per me”. I punteggi grezzi sono convertiti in punteggi standard calcolati su media “100” e deviazione standard 15 (simile a quella dei punteggi per il QI). Si ottiene anche un Quoziente Emotivo (QE) totale. In ambito organizzativo l’EQ-i può essere utilizzato in fase di selezione, per la valutazione del potenziale, per la pianificazione delle carriere. Inoltre, è utilizzabile in ambito formativo per migliorare il livello di esercizio del ruolo della leadership da parte dei manager, analizzare e aumentare il livello di appartenenza all’efficienza relazionale e organizzativa, rafforzare il senso di appartenenza da parte delle risorse e infine per valutare il clima aziendale. Si presta alla valutazione di gruppi di lavoro permettendo di potenziare l’efficacia del team attraverso la parametrizzazione del QE Totale. In ambito scolastico e di orientamento l’EQ-i permette di definire negli studenti problemi di coping e di combattere il drop-out scolastico. In psicologia della salute e clinica, è un valido ausilio per la valutazione del successo e del fallimento nell’affrontare una condizione medica grave e il trattamento. (Fonte: Giunti OS )
Esiste inoltre uno strumento che permette la valutazione dell’Alessitimia. Si tratta della TAS-20. Scala dell’alessitimia di Toronto (TAS-20) , questionario autosomministrato. È una scala di autovalutazione che valuta l’alessitimia, ovvero l’incapacità ad definire ea elaborare i propri sentimenti, associata alla tendenza a manifestare somaticamente le emozioni ed a minimizzarne le componenti affettive. Gli alessitimici tendono, infatti, ad avere un’amplificazione somatosensoriale ed attribuiscono (in maniera anomala) le sensazioni somatiche a segni di una grave malattia. L’attuale versione della Toronto Alexithymia Scale (TAS-20) ha 20 item su scala Likert a 5 punti. Al soggetto è richiesto di esprimere il proprio grado di accordo/disaccordo con ciascuna affermazione del questionario. Nella valutazione dei dati, oltre a informazioni relative alla somma totale dei singoli punteggi di ogni elemento, che permette di stabilire il grado di alessitimia del soggetto,
Riferimenti bibliografici
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- Reda MA (1986). Sistemi cognitivi complessi e psicoterapia. Roma: La Nuova Italia Scientifica.