Premessa. Partecipando a un evento della Società Milanese di Psicoanalisi in occasione del Centenario del libro di Freud “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”, sono nate alcune riflessioni personali che cercherò di delineare a partire da alcuni contenuti dell’evento.
Empatia e Identificazione sono due processi molto diversi.
Empatia significa rimanere se stessi pur sentendo ciò che sente l’altro.
Nell’identificazione invece si perde se stessi per sentirsi l’altro.
L’implicazione importante dal punto di vista della psicologia delle masse è che l’identificazione porterebbe, quindi, lontano dalla propria autenticità.
Ci si può quindi chiedere cosa ci avvicini alla nostra autenticità, quale sia quell’ingrediente che può aiutarci.
L’ingrediente in questione è identificabile con il vuoto. Lì abbiamo la possibilità, abbiamo l’occasione di ritrovare la nostra persona, di tornare autentici.
Lì ci fermiamo. Creiamo.
Freud provò a ad applicare alcuni principi delle sue teorie alla massa. Nel suo libro “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” del 1921 si chiese come funzionasse l’Esercito, come funzionasse la Chiesa. Osservò che quello che accadeva era che c’era una identificazione con il capo . Affinché questo avvenisse occorreva che ci fosse un innamoramento con il capo.
Durante l’evento è stato fatto notare che la massa non è paragonabile al gregge ..ma all’orda, termine che ha una connotazione molto più violenta. Attraverso l’identificazione daremmo quindi anche legittimità a bisogni inconsci “violenti” che niente hanno a che vedere con la sopravvivenza della specie. Pensiamo, per esempio, ai fenomeni di linciaggio sui social.
La massa, quindi, risolve il problema dell’Identità attraverso l’identificazione. Un’identificazione che è rigida e, al tempo stesso, a volte anche molto fine, sottile.
In tal senso, oggi si assiste a un’erosione del simbolico, perché il processo di identificazione passa dal possesso di oggetti. In un certo senso, la nostra società ha introdotto una mutazione. Ha estromesso il capo come oggetto d’amore (come avveniva un secolo fa, con la Chiesa, con l’Esercito), sostituendolo con oggetti-oggetto d’amore (la borsa giusta, ecc.).
Immaginiamo questo lento ma costante processo. Tutti i giorni, nella vita di molti. Tutto questo contribuisce all’erosione del simbolico.
Erodere il simbolico significa privare l’uomo non solo del sogno, ma anche del segno. Simbolico è infatti il segno del non visibile, che è il luogo delle sensazioni, delle idee, della nostra brillantezza.
Quando il nostro inconscio, cioè la parte più profonda e autentica di noi, ci parla, lo fa attraverso simboli.
Coltivare il simbolico (in noi) e l’empatia (con gli altri) è una strada che è sempre stata stretta, per motivi diversi, ma è una strada percorribile.
La massa, l’orda, non contemplano il vuoto. Danno invece un’illusione di pienezza: un’illusione di pienezza.
Vuoto significa ascolto di ciò che sento, per tracciare il sentiero della mia persona. Che è unica.
Implica silenzio, ascolto e passi lenti per lunghe distanze. Lontani dalla soddisfazione dell’urgenza immediata.
Vuoto significa ascolto di ciò che sento, per tracciare il sentiero della mia persona. Che è unica. Irripetibile, se voglio vivere di autenticità.
“Questa è un’epoca in cui tutto viene messo in vista sulla finestra per occultare il vuoto della stanza” (Tenzin Gyatso)
Dott.ssa Elena Lensi
Psicologa, Psicoterapeuta, Specialista in Psicologia Clinica
Esperta in Tecniche di Ipnosi Clinica
(OPT n. 4239)